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Il Romanzo

"Uno strano caso di morte a Porta di Mare"

 

   

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    Cap 1°        Porta di Mare

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    Cap 2°        Notturno

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    Cap 3°        Maddalena

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    Cap 4°        La Pietraia

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    Cap 5°        Il Vicolo

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    Cap 6°        La Vigilia dell'Assunta

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    Cap 7         Tempesta di mare

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    Cap 8°        Calura  

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    Cap 9°        Mattia

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    Cap 10°      Quiete

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    Cap 11°      Sciame meteorico

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    Cap 12°      Il mirteto

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    Cap 13°      Cassiopea

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    Cap 14°      Maestrale

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    Cap 15°      Il castagneto

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    Cap 16°      Vaniglia 

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    Cap 17°      Bava di vento

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    Cap  18°      Solitudine

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   Cap 19°     Allegro ma non troppo

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    Cap 20°     Andante moderato

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    Cap 21°     Andante maestoso

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    Cap 22°     Adagio

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    Cap 23°     Autunno

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    Cap 24°     Tempo

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    Cap 25°     Prestissimo

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    Cap 26°     Allegro energico

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    Cap 27°    Allegro con moto

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    Cap 28°     Largo

 

 

 

 

cap XVIII

Solitudine

 

Michele partì il giorno dopo. Infuriava l’abituale temporale pomeridiano. La pioggia, che batteva e obbligava ad azioni frettolose, accelerò i saluti, non diede tempo a dialoghi oziosi farciti di rassicurazioni, consigli, inviti e certezze.

            Tutto era stato detto tra i due amici in  riva al mare nella  spiaggetta  dei pirati.

Mattia aiutò l’amico a sistemare le valigie nello scompartimento.

“Avevo proprio voglia di fare un lungo viaggio in treno. Farò una lunga dormita fino a Roma e poi da Roma a Parigi” disse Michele alludendo allo scarso riposo della piacevolissima vacanza.

Mattia scese dal vagone, ebbe solo il tempo di dirgli:   

“Avrai presto mie notizie”

Il temporale peggiorava e si allontanò prima che il treno partisse.

Gli piaceva guidare sotto la pioggia e non si rammaricò del tratto abbastanza lungo da percorrere. Era sera inoltrata e guidava con lentezza, più che per prudenza per rilassarsi sotto lo scrosciare della pioggia. Riflettè sulla possibilità di fermarsi una sera a casa dei suoi. Forse lo doveva. Aveva cenato sempre fuori, da quando era arrivato. Parcheggiò l’auto in giardino e di corsa entrò dall’ingresso delle cucine.

            Tutto il palazzo era avvolto in uno strano silenzio, come se non ci fosse nessuno.

            Evento assolutamente insolito.

Anche le cucine erano al buio. Raggiunse il salotto frequentato abitualmente dai familiari. Sentì fumo di pipa, benchè la sala fosse al buio.

“Papà” chiamò, riconoscendo l’odore del tabacco.

“Ciao Mattia” rispose la sagoma che reggeva la pipa e che non era quella di suo padre.

Luigi lo accolse gentilmente.

“Fumi lo stesso tabacco di mio padre e pensavo fosse lui. Scusami se ti ho disturbato”

Mattia era  stupito.

“I tuoi sono partiti nel pomeriggio. Sta male zia Maddalena. In casa ci siamo solo Laura ed io, anche Adele e Filippo sono con loro. Pare che  la zia abbia avuto un infarto e sia molto grave”

“Ironia della sorte! Fino a tre ore fa eravamo qui io e Michele a poterci occupare della cosa. Mi dispiace. Sai se c’è Giacomo?”

“Credo che abbia guidato lui, tuo padre era stanco e alquanto provato alla notizia”

Mattia salutò il cognato, prese in gran fretta tutti gli strumenti che potevano servire, voleva visitare la zia, e si rimise in macchina.

Non era più rilassante guidare sotto la pioggia, anche perché il viaggio precedente aveva creato umidità nell’abitacolo e i vetri si appannavano continuamente.

Mattia non era mai stato legato da affetto alla vecchia zia.

Il padre, al contrario, era molto legato alla sorella, di parecchi anni più anziana di lui.

Non era ben sicuro di ricordare la strada che conduceva al paese vicino, residenza abituale di  zia Maddalena. C’erano molti cambiamenti. Le strade più larghe, gli alberi più alti e fitti e le nuove costruzioni gli confondevano le idee. Il buio e la pioggia non lo aiutavano. Si pentì di essersi rimesso in viaggio in quelle condizioni.

“Obiettivamente sono solo pretesti. Ho percorso una lunga strada senza infastidirmi delle condizioni di disagio, ora devo ammettere che mi  pesano”

            In effetti non aveva mai provato affetto per la zia, forse era solo dovere professionale e familiare. Guidato dai ricordi riconobbe lo stretto viale che spuntava all’improvviso nel gomito di una curva e conduceva a Villa Adele.

La noia dei pomeriggi afosi trascorsi con tutta la famiglia al completo, in occasione degli inviti della zia, era ancora là, appiccicata alla pietra viva del lastricato, alle panchine di marmo ancora viscidi di umidità, ai tronchi delle querce che troneggiavano, inutili, nel parco.

Era una villa senza fiori, senza alberi da frutta.

            “Ne hai tanti tu che non c’è bisogno che mantenga quelli miei” aveva detto un giorno al fratello, e aveva fatto eliminare i vistosi peschi primaverili, gli allegri melograni, i profumati aranci. Tutto verde, nelle più svariate tonalità, ma solo verde,  se possibile sempreverde, senza alternanza di colori, profumi.

Voleva fermare il tempo l’anziana Maddalena, non vedere il tempo trascorrere nel fiore trasformato in frutto e trasformato in altro fiore, in altro frutto, in altra stagione, le dava il senso dell’onnipotenza. Era rimasta ad infastidirla una vite canadese, che aveva allignato al tronco di una betulla e da lì, strisciando, aveva lentamente rivestito molti tronchi. Era quello l’unico colore rimasto. Quando tutto si ingrigiva le foglioline si tingevano di rosso. Zia Maddalena imprecava contro lo sprovveduto giardiniere che vent’anni prima non era stato in grado di sdradicarla completamente.

            “Malerba non muore mai” diceva, stizzita, ogni volta che qualcuno osservava l’acceso colore, con ammirazione.

“Che donna strana. Poveretta, forse è stata sempre infelice” pensò Mattia percorrendo il viale, il lastricato, passando per il parco, entrando in casa.

Ora, da uomo adulto, oltre alla noia vedeva appiccicata, su tutto, l’infelicità dell’arcigna zia. I grandi saloni quasi disadorni, i mobili in stile spagnolo antico, tetri e scuri, i tendoni vinaccia davano più l’idea di un convento che non di una casa. Si soffermò a guardare le tele. I grandi dipinti lo avevano sempre catturato. Erano la sola nota positiva della grande, solitari casa.Imponenti, molto antichi, di grande valore, riproducevano a ‘tinte forti’ paesaggi, nature morte, immagini religiose.

C’era molto silenzio e poca luce. Vide solo una fioca luminescenza al piano superiore e udì un lamentevole recitio di preghiere.

Zia Maddalena che aveva sempre annoiato tutti con le sue frasi pungenti, che metteva tutti in agitazione al suo arrivo, aveva scelto il modo meno previsto e  più discreto per andarsene all’altro mondo.

“Era già spirata, quando siamo arrivati” disse Adele, non appena vide entrare Mattia.

Tutto si svolse in modo molto semplice.

L’anziana donna che aveva sempre affrontato tutto, dalla prima colazione agli auguri di Natale, con grande formalità, aveva lasciato detto al notaio di non voler nessuno, al di fuori dei parenti più stretti, al suo funerale, che doveva essere il più riservato possibile.

            Un modo come un altro per farsi notare, pensò Mattia, caustico. Per mesi avrebbero detto di lei che nonostante le ricchezze possedute si comportava come una persona dall’animo e dai modi semplici. Con un gesto eclatante aveva inoltre devoluto quasi tutti i suoi averi in beneficenza e la splendida villa alla fidata Graziuzza. Sarebbe stato un bel problema per la fidata Graziuzza mantenere la villa, visto che in vita non l’aveva mai compensata in danaro, ma solo con l’estrema generosa ospitalità quasi familiare. Così Graziuzza, disperata e per non farla cadere in rovina, pregò Don Alfredo di occuparsi della villa, giacchè il testamento non prevedeva che venisse venduta ad alcuno fino alla morte della stessa Graziuzza. Isabella, che data la distanza non poteva occuparsi di Graziuzza, adottò la ottuagenaria governante, pregandola di trasferirsi a Palazzo, dove c’erano stanze a sufficienza e dove poteva trascorrere serenamente gli ultimi anni della sua logora vecchiaia.

Mattia subito dopo il funerale ripartì con Adele e Filippo e rientrò alla Pietraia.

Era sfumata tutta la riserva di serenità fatta nei giorni assolati  e salmastri nel grembo di Cassiopea.

            Le giornate erano diventate uggiose, benchè fosse solo la fine di agosto.

Dalla terrazza naturale osservava i grossi banchi di nuvole che correvano veloci da un capo all’altro dell’orizzonte. Batteva sempre più di frequente il maestrale e i bagnanti non scendevano più alla marina. Non udiva più voci di allegre comitive che a tarda notte salivano per la rampa larga.

            Maddalena non tornava da Serra.

Non la vedeva da due settimane. Giacomo non parlava mai della sorella, Vittoria lo evitava.   Una sera decise che era il caso di porre fine all'angosciante situazione.

            La solitudine lo opprimeva.

Pensò di fare due passi fino all’osteria di Massimino. Invece salì ancora più su, tanto su da trovarsi davanti all’uscio della casa di Maddalena. Bussò, senza esitare o pensare a conseguenze. E l’uscio fu subito aperto. Nessuno dei due uomini potè trattenere l’espressione di disagio. Giovanni rimase stupito, tanto quanto Mattia.

“Ma chi ti ha detto che eravamo a casa? Nessuno sa ancora  del nostro arrivo. Siamo stanchi, se puoi passare domani, ci fa piacere. Non voglio sembrarti scortese, ma Maddalena già dorme e non vorrei che la disturbassimo, chiacchierando”

Mattia chiese scusa, e pazzo dalla gioia, si fermò all’osteria di Massimino fino alle due di notte, chiacchierando con i vecchi rugosi, inebriandosi nei ricordi d’infanzia e nei numerosi bicchieri di  zibibbo.

Massimino e un vecchio traballante l’accompagnarono fin alla piazzetta del borgo vecchio. La strana compagnia si congedò, come se dovessero trascorrere tutte le sere del resto della loro vita a quel modo.

            Mattia sciacquò il viso alla fontanella.

Scese a passi svelti, sostò a Porta di Mare, guardando la sua voluttuosa Cassiopea. Contemplò a lungo le stelle, di nuovo lucenti, vicine.

 

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